La riforma monetaria datata poco prima del 212 a. C., sulla base dei dati di scavo,introdusse una moneta aurea con la testa di Marte al dritto e il denario in argento (1 a-b) con i suoi sottomultipli, il quinario (2 a-b) e il sesterzio (3 a-b).
Contemporaneamente veniva anche prodotta moneta di bronzo, ovvero l’asse (4 a-b) e i suoi sottomultipli (il semisse corrispondente alla metà, il triente ad 1/4, il quadrante (5 a-b) ad 1/3, il sestante ad un 1/6 e l’oncia ad 1/12), che assumeva un ruolo fiduciario essendo stato diminuito il peso.
Era coniato anche il vittoriato (6 a-b), dal contenuto argenteo inferiore al denario (pari all’80% di fino).
Nel corso del II secolo a.C. la moneta romana si impose in Italia e in Sicilia, mentre in altre aree provinciali continuarono ad essere emesse produzioni locali.
Dal 130 a.C. i tre monetieri, magistrati preposti alla coniazione, poterono cambiare di volta in volta i tipi monetali, fino ad allora rimasti immutati, per ricordare le gesta degli antenati e celebrare la grandezza di Roma.
La possibilità di introdurre il proprio ritratto sul dritto della moneta fu concessa per la prima volta nel 44 a.C. a Cesare dal Senato; soltanto da questo periodo si diede avvio ad una regolare produzione di emissioni in oro (7 a-b), rare nel corso dell’età repubblicana.
Il sistema monetario romano venne parzialmente modificato da Augusto che volle garantire una maggiore flessibilità con la creazione di numerose denominazioni in vari metalli*, messe in relazione tra loro secondo un rapporto fisso.
La novità maggiore consistette nella coniazione di sesterzi e dupondi in oricalco (una lega simile all’ottone) e di assi e quadranti (8 a-b) in rame, destinati agli agli scambi quotidiani e coniati a Roma.
I denari e gli aurei, prodotti a Lione forse fino a Nerone, assolvevano alla funzione di mezzo di pagamento dell’esercito e dell’amministrazione statale.
Questo sistema, a cui si affiancavano le coniazioni di carattere provinciale e locale, rimase a lungo inalterato.