Le numerose riduzioni del contenuto argenteo del denario, verificatesi soprattutto nel II secolo e poi nel III d.C., sono state interpretate come un semplice espediente adottato dallo Stato per continuare ad aumentare la sua spesa, alimentando una congiuntura inflazionistica, oppure come una valida alternativa all’inasprimento della pressione fiscale; così, in maniera differente, sono state spiegate le due più rilevanti riforme monetarie del III secolo d.C..
Quella di Caracalla nel 215 d.C. diminuì il peso dell’aureo e introdusse l’antoniniano (di peso pari ad una volta e mezza il denario) (1 a-b), che alcuni studiosi giudicano un tentativo di consolidare il sistema con la creazione di un nominale meno sopravvalutato del denario ed altri una nuova svalutazione .
Anche la riforma di Aureliano viene interpretata in modo diverso a seconda del valore assegnato alla nuova moneta, l’aureliano (2 a-b), creata nel 274 d.C. nonché alla spiegazione da attribuire al repentino aumento dei prezzi attestato dai contemporanei papiri egiziani.